La partita di Vanni
Il racconto di una partita di scacchi ai tempi del Coronavirus. Ma non è solo una partita, è qualcosa di più.
Non ci mette molto Vanni a capire che c’è qualcosa che non va. Poco prima aveva aperto gli occhi, si era seduto sul letto ed era rimasto così per qualche secondo, fermo, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Si sente come se avesse perso l’aggancio a qualche ricordo, magari a dei particolari importanti, perché percepisce quella inquietudine che si prova quando si perde il filo di qualcosa a cui si tiene.
Prova a concentrarsi, ma avverte soltanto un profondo vuoto nella sua testa.
Accidenti, devo aver dormito come un sasso. Qui ci vuole un buon caffè.
Soltanto quando entra in cucina si accorge del silenzio: a parte dei suoni ovattati, distanti, forse anche dei mormorii, non percepisce altro. Nessun rumore dalla strada, nessun movimento dei vicini al piano di sopra. Nulla.
Si affaccia alla finestra e in effetti vede che tutto è immobile, nessuno che cammina o corre o vada in bici, nessun autoveicolo, nessun autobus.
È appena passata la sesta settimana di quarantena, il lockdown forzato imposto dal Governo italiano per fronteggiare l’epidemia del Coronavirus. Cosa che non ha impedito comunque a qualcuno di uscire, magari per fare la spesa, andare in farmacia, o più semplicemente per fare due passi.
Ora invece Vanni dalla finestra non vede alcun movimento.
Strano, dice dentro di sé mentre riempie di caffè la sua vecchia moka.
È affezionato a quella caffettiera. Valeria l’aveva comprata poco prima che un’ischemia cerebrale stroncasse un matrimonio trascorso con i suoi alti e bassi. Era accaduto quasi ventiquattro anni prima. All’epoca Vanni aveva quarantotto anni e un lavoro di insegnante di italiano al liceo classico. Un lavoro che gli aveva permesso di superare non senza difficoltà il periodo di depressione che aveva vissuto dopo la scomparsa della moglie.
Non avevano avuto figli. Vanni e la moglie non avevano mai voluto capire il motivo, forse perché ritenevano inutile accanirsi per cercare di avere un figlio a ogni costo. Ci avevano provato, anche chiedendo un’adozione, ma il tempo era passato senza che potessero avere una possibilità e poi era arrivata l’ischemia.
Così è stato. Punto.
Entra in salone con la tazzina di caffè in mano. Vorrebbe accendere la tv per ascoltare qualche notizia, ma con la coda dell’occhio vede un movimento al suo fianco. Si volta. Sgrana gli occhi e sente come se il cuore si fosse fermato. Per la sorpresa lascia cadere a terra la tazzina che si spacca in diversi pezzi rovesciando il caffè sul pavimento. Vorrebbe dire qualcosa, forse urlare, ma è bloccato.
Un uomo alto, magro e con gli occhi coperti da un paio di occhiali scuri è lì, fermo, in piedi di fianco a lui.
Vanni prova a reagire. Uno sconosciuto è entrato nella sua casa.
E adesso questo chi è? Ma come avrà fatto a entrare?
«Chi è lei, come si permette di entrare in casa mia e poi come ha fatto a entrare?»
L’uomo non risponde, sembra interessato all’arredo del salone. Poi si sposta e si avvicina ai quadri appesi alle pareti.
«Ma insomma, chi è lei?? Adesso chiamo la polizia. E poi è anche senza mascherina!»
La voce di Vanni è quasi stridula. È spaventato, ma prova ugualmente a recuperare un po’ di lucidità.
«Stai tranquillo, non mi occorre la mascherina», risponde l’uomo con voce calma.
«Perché mi sta dando del tu? Ci conosciamo?»
L’uomo accenna a un sorriso continuando a osservare i quadri.
«Forse sì.»
Vanni si avvicina timoroso. I lineamenti di quell’uomo gli sono familiari, ma per quanti sforzi faccia non gli ricordano al momento qualcuno in particolare.
«Se anche fosse, ciò non toglie che lei sia entrato in maniera illecita in casa mia», dice Vanni sentendosi più calmo.
«Io entro dove voglio, l’ho sempre fatto e lo farò sempre.»
Questo è tutto matto. Ma non sarà pericoloso?
Solo adesso Vanni si accorge del vestito che l’altro indossa. Un abito scuro, curato che dona all’uomo un’eleganza particolare.
Vanni fissa il viso dell’uomo. Vuole capire perché gli sembra di conoscerlo o comunque perché non lo vede come un estraneo.
«Insomma, che vuole da me? Basta, ora chiamo la polizia.»
«Se ti farà stare più tranquillo, chiama pure. Tanto non ti risponderà nessuno perché i telefoni non funzionano.»
Vanni prende il telefono e compone subito il 113. Non c’è linea.
«Ma chi sei?»
L’uomo si gira e si avvicina.
«Non l’hai ancora capito?»
All’improvviso a Vanni appare tutto chiaro. Questa volta sente davvero che il cuore sta per cedere, ma sente anche montare la rabbia, la consapevolezza che non può rimanere passivo. Sì, aveva già avuto a che fare con quell’individuo, se lo ricorda bene, e ora questi è lì di fronte senza essere stato invitato.
Maledetto! Perché è venuto proprio da me?
«Ci rincontriamo, a quanto pare», dice Vanni con un mezzo sorriso chinandosi per raccogliere quel che resta della tazzina e per pulire il pavimento dalle macchie del caffè rovesciato.
«Sei stupito?»
«Sì, sono stupito, ma anche profondamente incazzato.»
«Lo posso capire.»
«No, che non lo puoi capire!»
«Come vuoi.»
«E potrei sapere di grazia perché stai tergiversando anziché portare a termine lo scopo della tua visita?»
«C’è tempo.»
«C’è tempo? Perché tu sei uno che ha tempo da perdere?»
«Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila.[1]»
«Giordano Bruno, se non erro.»
«Sì, lui. Un tipo interessante, non trovi?»
«Sì, ma ha fatto una brutta fine.»
«Quelli erano tempi difficili.»
«Più o meno come adesso.»
«La verità è che l’uomo di oggi entra in crisi subito. È talmente troppo legato alle proprie comodità, alle proprie abitudini, alle proprie certezze che quando arriva una crisi, una vera crisi, di qualunque tipo, l’uomo si dimostra debole come un castello di sabbia di fronte all’onda del mare.»
Adesso l’uomo è fermo di fronte al tavolino posto in fondo al salone. Un tavolino in mogano con la scacchiera intarsiata. Gli scacchi in argento e bronzo incisi a mano sono già posizionati nelle rispettive caselle.
«Vedo che ti piacciono i miei scacchi.»
«È il gioco degli scacchi che mi piace. Devo riconoscere che hai una gran bella scacchiera e i tuoi scacchi devono essere di valore.»
«Molto, li ho acquistati un po’ di tempo fa in un mercato di antiquariato.»
«Facciamo una partita?»
Vanni è stupito.
«Non ho capito bene, vuoi giocare a scacchi con me?»
«Se sai giocare, direi che possiamo fare una partita. Non ci corre dietro nessuno, non credi?»
«Io non credo a nulla. Credo solo a quello che vedo e ora vedo te che mi stai chiedendo di giocare a scacchi. Non ci posso credere.»
«E invece fai male. E sai che ti dico? Rendiamo la cosa più interessante. Mettiamo una posta in gioco.»
Vanni si avvicina al tavolino.
«E va bene. Quale sarebbe la posta?»
«Se vinco io, sai come andrà a finire. Se invece vinci tu, io me ne andrò.»
A Vanni pare incredibile.
«Hai la fama di non lasciare nulla di intentato e che non fai le cose a metà. E ora mi proponi di giocare a scacchi, e se vinco io tu te ne andrai. Scusa se non mi fido.»
«Hai detto bene: se vinci tu.»
Che presuntuoso. Vuole sfidarmi? E sia!
«D’accordo, giochiamo. Le sfide non mi hanno mai spaventato.»
«Ed io non ti spavento più? Prima sei sbiancato come un lenzuolo quando mi hai riconosciuto.»
Vanni sorride.
«Sì, hai ragione, mi hai spaventato. Poi mi sono ricordato dove ti ho già incontrato e allora la paura si è trasformata in qualcos’altro.»
«In rabbia?»
«Esatto e tu sai anche il perché.»
«Stiamo parlando troppo, prego, i bianchi a te.»
«Ti ringrazio.»
I due uomini si siedono l’uno di fronte all’altro.
Vanni alterna lo sguardo ai suoi pezzi bianchi sulla scacchiera e all’uomo che gli sta di fronte. Sembra tutto così paradossale, eppure capisce che è così reale. Sente su di sé lo sguardo dell’altro. Prova a fissarlo, ma un brivido che corre su e giù lungo la sua schiena gli fa distogliere lo sguardo.
Dai, Vanni, concentrati sulla partita.
Il bianco muove sempre per primo e Vanni fa la sua mossa.
«Pedone bianco C2 in C4.»
«Classica apertura all’inglese. D’accordo. Cavallo nero G8 in F6.»
«Cavallo bianco B1 in C3.»
«Pedone nero G7 in G6.»
«Pedone bianco G2 in G3.»
«Pedone nero C7 in C5.»
Vanni sorride.
«Variante simmetrica. Mi dispiace non ti ci vedo che vuoi far finire la partita patta.»
L’uomo sorride.
«Non sentenziare subito, aspetta e vedrai. Ora fai la tua mossa.»
«Alfiere bianco F1 in G2.»
«Cavallo nero B8 in C6.»
«Cavallo bianco G1 in F3.»
«Non venire a parlare a me di variante simmetrica. Vedo che anche tu potresti puntare sul pari, ma oggi non sarà così perché ci sarà un vincitore e non sarai tu. Pedone nero D7 in D6.»
«Pedone bianco D2 in D4.»
«Ok, ora la cosa si fa più interessante», dice l’uomo.
«Pedone nero C5 su Pedone bianco in D4.»
«Sì, direi che possiamo azzardare qualche mossa interessante», risponde Vanni.
«Cavallo bianco F3 su Pedone nero in D4.»
L’uomo si acciglia.
«Ti piace giocare in attacco, eh?»
«Diciamo che la migliore difesa è l’attacco, non trovi?», dice Vanni.
L’uomo sorride.
«Non ti illudere, hai a che fare con un giocatore con un po’ di esperienza.»
Vanni scuote la testa.
«Non mi piacciono gli arroganti, quelli sicuri di sé. Quelli che si mettono in cattedra. Sappi allora che in questo gioco posso dire la mia. Ora fai la tua mossa.»
«D’accordo, non ti scaldare, ma non avrai il mio cavallo. Alfiere nero C8 in D7.»
Vanni rimane fermo per qualche secondo a studiare la situazione. Ha diverse opzioni di attacco, ma non si fida, meglio proteggere il Re.
«Arrocco di Torre bianca in F1 e Re in G1.»
«E tu saresti quello che attacchi per difenderti. L’arrocco non è propriamente un attacco.»
«Stai chiacchierando troppo. Gioca invece», risponde serio Vanni.
«Alfiere nero F8 in G7.»
«Mi sto annoiando. Ora vedrai cosa significa attaccare. Cavallo bianco D4 su Cavallo nero in C6.»
«Hai ragione. Alfiere nero D7 su Cavallo bianco in C6.»
Vanni vede un suo alfiere in pericolo. Tuttavia vede anche la possibilità di sfruttare una mossa di attacco interessante.
«Pedone Bianco E2 in E4.»
Vanni fissa l’uomo che appare concentrato. Qualcosa gli sta dicendo di alzarsi e scappare via. Ma non è un vigliacco e l’altro lo sa.
L’uomo alza il viso. Gli occhiali scuri non permettono di vedere il suo sguardo. Vanni avrebbe voglia di chiedere di toglierli, ma immagina già quale sarebbe la risposta.
L’uomo annuisce, come se gli avesse letto il pensiero e fa la sua mossa.
«Arrocco di Torre nera in F8 e Re in G8.»
Vanni si acciglia. L’uomo sta usando una tattica che appare difensiva, ma che probabilmente nasconde qualche sorpresa. Capisce però che dovrà sacrificare qualche pezzo.
«Alfiere bianco C1 in E3.»
L’uomo risponde subito con la sua mossa senza pensarci troppo.
«Pedone nero A7 in A6.»
Vanni capisce che l’altro sta portando avanti una sua strategia indifferente di come i bianchi si muovono. Meglio prevenire.
«Torre bianca A1 in C1.»
«Interessante mossa. Devo dire che sai il fatto tuo.»
«Avevi dubbi?», chiede Vanni.
«Non saprei, sto imparando a conoscerti.»
«Vedremo se davvero riuscirai a conoscermi. Prego, fai la tua mossa.»
«Cavallo nero F6 in D7.»
Vanni rimane immobile, pensoso, con lo sguardo fisso sulla scacchiera. Il suo respiro è profondo. Sente su di sé lo sguardo dell’altro. Evita di alzare il viso per non distrarsi. Diversi pensieri affollano la testa, ma lui li caccia indietro. Quella partita è troppo importante e non ha tempo e voglia di pensare ad altro.
«Donna bianca D1 in E2.»
«Vedo che hai deciso di muovere un pezzo forte.»
«Ti riferisci alla Donna? Si stava annoiando a stare ferma.»
L’uomo accenna a un sorriso e fa la sua mossa.
«Pedone nero B7 in B5.»
Vanni sente la tensione salire. Sa che la partita è arrivata al punto in cui ogni mossa errata può costare cara. Non può permettersi di concentrarsi solo sulla sua di strategia, ma deve cercare di anticipare le mosse dell’uomo di fronte a lui. Sa perfettamente che l’altro tutto sommato ha poco o niente da perdere. Lui invece ha tanto, troppo da perdere.
«Pedone bianco B2 in B4.»
L’altro muove subito.
«Cavallo nero D7 in E5.»
Vanni è sicuro che l’uomo ha in mente qualcosa: sta muovendo con troppa sicurezza. Sente i battiti del cuore accelerare. Ha gli occhi che bruciano perché li tiene troppo fissi sulla scacchiera. Li chiude e sospira.
D’accordo, diamo fuoco alle polveri.
«Pedone bianco C4 su Pedone nero in B5.»
«Pedone nero A6 su Pedone bianco in B5.»
Questa è vera battaglia, ora o mai più!
«Cavallo bianco C3 su Pedone nero B5.»
«Alfiere nero C6 su Cavallo bianco B5.»
Ormai le chiacchiere stanno a zero.
«Donna bianca E2 su Alfiere nero B5.»
L’uomo sogghigna.
«Donna nera D8 in B8.»
Quel sogghigno. Vanni non lo sopporta. Forse ha fatto un errore a muovere la sua Donna bianca.
O forse no.
«Pedone bianco A2 in A4.»
L’uomo risponde subito senza pensarci.
«Donna nera B8 su Donna bianca B5.»
Vanni sorride dentro di sé, ma non vuole farsi accorgere.
Ti sei fatto ingolosire, eh?
«Pedone bianco A4 su Donna nera B5.»
L’uomo sembra spiazzato, rimane qualche secondo a pensare.
«Torre nera F8 in B8.»
Ormai per Vanni non ci sono molte alternative. Deve andare avanti con l’attacco.
«Pedone bianco B5 in B6.»
L’uomo per la prima volta sembra nervoso.
«Cavallo nero E5 in G4.»
Vanni non riesce a trattenere l’eccitazione.
«Ci sei cascato, stronzo. Pedone bianco B6 in B7.»
L’uomo alza il viso e fissa Vanni che gli ricambia lo sguardo con un ghigno.
«Vedo che ancora non hai capito. Diciamo allora che qualunque mossa farai, io sarò sempre in vantaggio e potrò andare in matto.»
L’uomo è concentrato, forse non ha neanche ascoltato Vanni.
«Mi devi essere grato. Abbandona adesso ed eviterai l’umiliazione del matto.»
«No, non funziona così.»
«Oh sì che funziona così: ti ho battuto in soli 21 mosse. Non c’è altro da dire. E ora, prego, paga la posta: fuori dai piedi!»
L’uomo osserva a lungo la scacchiera e ogni tanto lancia uno sguardo a Vanni che lo osserva con un’espressione di disprezzo. Due minuti dopo l’uomo rovescia il Re nero. Abbandono.
«Mossa saggia.»
«Bravo, devo fare i miei complimenti. Evidentemente non mi sono concentrato a sufficienza.»
«O forse hai trovato un ottimo avversario.»
«Forse o magari ho voluto farti vincere.»
Vanni scuote la testa.
«Non riesci ad accettare la sconfitta, vero? Tranquillo, la prossima volta potrai avere la rivincita con un’altra partita.»
L’uomo si gira. Ha un espressione dura.
«Non ti illudere, non ci sarà nessun’altra partita. Ora chiudi gli occhi», dice l’uomo appoggiando la mano sugli occhi di Vanni.
Vanni stenta ad aprire le palpebre. Non è più a casa, non è più nel suo letto. Si sente confuso. Non capisce dove si trova. Vede una figura china su di lui che gli sta dicendo qualcosa. Lo sta chiamando. Lui però la sente distante. Sul viso ha una specie di maschera e indossa una strana tuta.
Prova a muoversi, vorrebbe alzarsi, ma una mano lo tiene fermo. Vorrebbe parlare e si accorge che qualcosa copre la sua bocca e il suo naso.
Le sue orecchie percepiscono con fastidio un sibilo continuo e un ronzio che sembrano non avere fine.
Poi finalmente il cervello si sintonizza con la realtà.
«Vanni, ehi Vanni, mi senti? Dai Vanni, ce l’hai fatta. Sei stato bravissimo!»
La voce dell’infermiera è dolce. Vanni le rivolge uno sguardo e senza sapere perché gli occhi si inumidiscono di lacrime.
Vorrebbe parlare, ma ha un fastidio alla gola.
«Non ti sforzare a parlare Vanni, ora potrai continuare a respirare regolarmente con l’ossigeno. Sei stato intubato per molti giorni.»
Intubato? Perché? Dove mi trovo?
L’infermiera intuisce le domande di Vanni dal suo sguardo.
«Vedrai, ancora un po’ di pazienza e ti ricorderai tutto. Sei stato sedato ed è normale che ti senti così. Sei stato contagiato dal Covid-19. Te la sei vista brutta, ma ora stai guarendo.»
Improvvisamente nella sua testa si apre la diga dei ricordi riversando immagini, sensazioni, paure, pensieri, dolore.
Annuisce facendo capire all’infermiera di ricordare.
«Dai, vedrai che domani uscirai dalla terapia intensiva e andrai nella sub-intensiva. Starai sicuramente meglio. Ora mi devo allontanare. Per qualsiasi cosa, suona il campanello che hai tra le mani. Ok Vanni?»
Lui annuisce e vede l’infermiera allontanarsi.
Gira la testa e si accorge di trovarsi in una sala insieme ad altri pazienti. Il sibilo dell’ossigeno e il ronzio delle apparecchiature è assordante, ma non ha più il fastidio di prima.
Si sente stanco. Vorrebbe dormire. Chiude gli occhi, ma li riapre subito. Ha paura di non riuscire più a svegliarsi.
E solo in questo momento un ricordo si fa strada in mezzo al turbinio di pensieri. Il ricordo di una scacchiera. Gli basta un attimo, poi ripercorre con la memoria l’intera partita a scacchi con lo sconosciuto.
Un sogno? No, non può essere stato un sogno, sembrava così reale.
Troppo nitide le immagini, le sensazioni e soprattutto il momento in cui lo sconosciuto ha abbandonato rovesciando il Re nero sulla scacchiera.
Dicono che quando si è sedati, il cervello potrebbe generare delle immagini molto forti come se fossero reali.
Sì, certo, deve essere così. Colpa della sedazione.
Perché allora sente una strana eccitazione nel ricordare il viso dello sconosciuto contratto per la sconfitta subita? Ma soprattutto, perché in questo sogno così reale ha sentito di conoscere l’uomo che lo ha sfidato a scacchi? Dove poteva averlo già visto?
Vanni è sicuro che nel sogno sapeva chi fosse quell’uomo e in quale occasione lo aveva già incontrato.
Basta, è inutile rimuginarci sopra.
Volta la testa sul cuscino. Sono tante le persone che si aggirano o si soffermano davanti ai letti. Prova a concentrarsi per ascoltare le voci degli altri pazienti. Alcuni sono vigili come lui, altri invece sembrano dormire, ma i loro visi sono sofferenti.
Vanni si sente grato ai medici e agli infermieri che hanno salvato lui e chissà quanta altra gente. Li vede lavorare senza soste. Si sente sicuro con loro vicino.
Gira lo sguardo, ma poi si ferma. Si sente all’improvviso inquieto, come se il suo sguardo avesse intercettato un’immagine o qualcos’altro che non sarebbe dovuto stare lì e che ha attirato la sua attenzione. Qualcosa di inquietante.
Lentamente, come al rallentatore ripercorre al ritroso il percorso che aveva fatto con lo sguardo. E poi lo vede.
L’uomo sconosciuto. L’uomo che nel sogno era entrato in casa sua. L’uomo che aveva perso a scacchi, ora è lì. Anche lui come i medici e gli infermieri indossa le protezioni e in viso porta una copertura, ma non gli copre completamene il viso.
Vanni ne è certo, ora lo riconosce.
Lo aveva già incontrato in passato una sola volta, una maledetta volta. In ospedale, quando sua moglie Valeria lo aveva lasciato per colpa di un’ischemia.
E ora sei di nuovo qui, ma io ti ho battuto. Oh sì, che ti ho battuto. Mi senti brutto infame? Ti ho battuto!
L’uomo si gira e punta il suo sguardo. Vanni non ha paura. L’uomo annuisce e gli fa un gesto di saluto.
E mentre l’uomo si allontana, Vanni scoppia in una fragorosa risata.
Gaetano Taverna
Note dell’autore
La partita a scacchi che ho raccontato è stata realmente giocata da due grandi campioni di scacchi: il russo Garry Kasparov, uno dei più grandi campioni di scacchi di tutti i tempi, e il norvegese Magnus Carlsen, attuale campione in carica di scacchi. La partita si giocò a Reykjavik il 18 marzo 2004. Kasparov giocava con i bianchi, Carlsen con i neri.
Carlsen all’epoca aveva solo 13 anni e poco dopo gli fu attribuito il titolo di gran maestro, mentre a 19 anni divenne il più giovane giocatore a raggiungere la prima posizione nella classifica mondiale. D’altronde aveva un maestro di tutto rispetto, lo stesso Garry Kasparov.
Ringrazio Mattoscacco.com per i dettagli della partita che ho voluto riportare fedelmente nel racconto.
È possibile assistere a una descrizione dettagliata della partita "Kasparov mette K.O. Carlsen in 21 Mosse" aprendo il video nel canale di YouTube di Mattoscacco: https://www.youtube.com/watch?v=uC_KidN1c-E&feature=emb_logo
Il racconto è dedicato a tutti i Vanni che ce l’hanno fatta.