Il carciofo, un'eccellenza!
Conosciamo e apprezziamo il carciofo, non solo nel gusto
Ode al carciofo
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Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero, ispida edificò una piccola cupola, si mantenne all'asciutto sotto le sue squame, vicino al lui i vegetali impazziti si arricciarono, divennero viticci, infiorescenze commoventi rizomi; sotterranea dormì la carota dai baffi rossi, la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino, la verza si mise a provar gonne, l'origano a profumare il mondo, e il dolce carciofo lì nell'orto vestito da guerriero, brunito come bomba a mano, orgoglioso, e un bel giorno, a ranghi serrati, in grandi canestri di vimini, marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno: la milizia. Nei filari mai fu così marziale come al mercato, gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi, file compatte, voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade, ma allora arriva Maria col suo paniere, sceglie un carciofo, non lo teme, lo esamina, l'osserva contro luce come se fosse un uovo, lo compra, lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe, con un cavolo e una bottiglia di aceto finché, entrando in cucina, lo tuffa nella pentola. Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo, poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta del suo cuore verde. |
Il carciofo (Cynara scolymus) è uno di quegli alimenti che hanno sempre accompagnato la nostra alimentazione e le nostre tradizioni gastronomiche. Il carciofo è stato considerato, fin dai tempi antichi, una pianta di origine divina: basti pensare che la mitologia attribuisce a Giove la creazione del carciofo. Il capostipite degli dei ellenici, infatti, si era innamorato di una fanciulla dai capelli color cenere di nome Cynara cui donò l'immortalità trasformandola in pianta. Il collegamento con la mitologia greca non è casuale se si considera che questa pianta è ritenuta originaria dei Paesi del Bacino del Mediterraneo orientale, comprese le isole Egee, Cipro e l'Africa settentrionale compresa l'Etiopia dove, tuttora, si trovano spontanee altre specie del genere Cynara.
L'origine medio-orientale sarebbe dimostrata dall'etimo arabo - spagnolo "harsciof" o "al - kharshuf" che significa pianta spinosa, selvatica. Negli orti dei Greci e dei Romani del carciofo erano, in genere, coltivate solo poche piante. Anche se viene nominato da alcuni scrittori greci, latini ed ebrei, tuttavia, non è certo che tale pianta corrisponda all'attuale carciofo, che sarebbe stato introdotto in Occidente dagli Arabi diffondendosi in Italia intorno al XV secolo. Sembra, comunque, che il miglioramento colturale di questa pianta sia stato effettuato nell'Italia meridionale; risulta, infatti, che il carciofo fu portato nel 1466 da Napoli a Firenze per opera di Filippo Strozzi. Verso la metà del Cinquecento il carciofo ebbe un grande successo e diffusione in Inghilterra con Enrico VIII, anche se era cibo raro a causa della sua ridotta coltivazione. Nel Rinascimento il carciofo cominciò a comparire in maniera più regolare sulle tavole dei ricchi grazie all'apprezzamento di Caterina dé Medici, che lo diffuse in Francia quando divenne regina dei Francesi. Nel XIX secolo in Italia questa specie fu apprezzata non solo per le sue caratteristiche nutritive, ma anche per le sue proprietà terapeutiche visto che veniva utilizzata per curare malattie all'epoca diffuse (scorbuto, itteri ed affezioni epatiche , reumatismi etc.). All'inizio del '900 il diffondersi della coltura in Italia - alla quale erano riservate aree di coltivazione sempre più ampie - fece del carciofo un alimento accessibile a tutti, anche ai meno abbienti. Fino al termine della prima guerra mondiale la coltivazione del carciofo in Italia ebbe un limitato sviluppo, essendo questo prodotto destinato al consumo familiare o al massimo ai mercati locali. La coltura si diffonde anche negli Stati Uniti (California e Florida) ad opera degli emigranti italiani e francesi che erano anche i principali consumatori. Una maggiore diffusione della coltura si è avuta con le opere di bonifica degli anni trenta. Nel 1929, secondo le statistiche del catasto agrario, in Italia la superficie coltivata a carciofo era, infatti, di circa 12.600 ettari in gran parte concentrati nell'Italia insulare e centrale, mentre più modesta era la coltura nel settentrione e nel meridione. In seguito, al termine della seconda guerra mondiale, il carciofo ha subito un notevolissimo incremento tanto da raggiungere a metà degli anni '60 una superficie di circa 60.000 ha con incrementi notevoli nell'Italia meridionale. In seguito, con la sempre maggiore specializzazione della coltura, alla concentrazione delle superfici è corrisposto un notevole aumento delle rese. Attualmente la coltura del carciofo in Italia interessa una superficie di circa 50.000 ettari, con una produzione totale annua circa 5 milioni di quintali. L'Italia contribuisce al 50% circa della produzione mondiale del carciofo, prevalentemente concentrata (80% circa) nei Paesi che si affacciano nel bacino del Mediterraneo (Italia, Spagna, Francia, Algeria e Marocco).
In origine era un “cardo selvatico”. Grazie alle selezioni colturali, maturazioni ed evoluzioni dei Greci, si è arrivati al più raffinato “carciofo”. Ma cos’è esattamente il carciofo?
Dal punto di vista botanico non è frutto, né fiore, ma è l’infiorescenza di una pianta che è alta circa un metro e mezzo, con lunghe foglie lanceolate e pendenti dal caratteristico colore verde spento. Per scoprire esattamente la natura, bisogna tagliarlo a metà; all’interno, si evidenziano, così, le parti fondamentali che lo costituiscono: innanzitutto i fiori ancora immaturi, che formano l’infiorescenza, così compatti che è difficile distinguerli, e che rappresentano la parte più tenera e buona, il “cuore”, o il “fondo”, o il “girello” del carciofo.
L’insieme dei fiori, è coronato dal “pappo”, un ciuffetto di peli bianchicci, che nelle ricette vengono definiti “fieno interno” o “barba” e che si consiglia di asportarli.
La terza parte, che racchiude le prime due, sono le “brattee”, cioè foglie modificate, sovrapposte una all’altra, di colore verde con sfumature violacee. Nel linguaggio corrente, queste vengono chiamate “foglie”, pur avendone solo vagamente la forma. Sono molto dure, come del resto dice il loro stesso nome che deriva dal latino “bractea”, ovvero lamina di metallo. Solo la base delle brattee più interne, sono tenere e commestibili. Commestibile è anche la parte del gambo, i 3-4 centimetri sotto il cuore, purché opportunamente mondata. Se il carciofo non viene raccolto prima, dal suo centro si innalza un fiore violetto tenero, con sfumature lilla; poeticamente qualcuno l’ha così definito: “Sembra un occhio di cielo incastonato in un calice d’oro in foglie scolpite”. Lo vediamo comparire così, alternato a rami di ruta, nel collare dell’ Ordine cavalleresco del Cardo (in Inghilterra è secondo per importanza all’Ordine della Giarrettiera). Fiore di cardo e ruta, erano i simboli, antichissimi, dei Pitti o Scoti; l’Ordine infatti sembra essere stato fondato nel 787. Il carciofo, insieme al cardo, hanno in araldica la simbologia della speranza.
Così pure nel linguaggio dei fiori. Il carciofo era conosciuto dagli antichi Romani, che lo apprezzavano molto; lo storico Varrone, in uno dei suoi scritti, consiglia di usare, per avviare la piantagione, semi macerati dapprima in acqua di rose, gigli ed alloro, per conferire all’ortaggio un gusto ancora più gradevole. Lo descriveva Columella (1° secolo d. C.) nel “De re rustica” e Teofrasto (372 a.C.) che lo classificherà però con il nome di “cardui pinee”, vista la sua somiglianza con la pigna; oltretutto lo additava come coltivato in Sicilia e non in Grecia, facendolo ritenere un prodotto “occidentale”.
Oltre che dai Romani, i carciofi erano largamente consumati dai Greci e dagli Egiziani, il cui re Tolomeo Evergete (secolo 3° a.C.) soleva farli mangiare ai suoi soldati, famosi per forza ed ardimento, poiché si credeva che infondassero tali virtù.
Il carciofo era chiamato dai Greci “kinara”, che in latino suonerà poi “cynara”. Ma il nome attuale deriva dall’arabo “(al) kharshuf” ed è da questa radice, attraverso i tempi e le varie lingue, che si avrà in Danimarca “artiskok”, in Francia “artichaut”, in Germania “artischoke”, in Inghilterra “artichoke”, in Olanda “artijok”, in Portogallo “alcacossa” ed infine in Spagna “alcachofa”. Non si sa il perché, ma nei secoli successivi ai Romani, e per lunghissimo tempo, il carciofo fu abbandonato sia nella coltivazione che nell’uso in cucina.
Ricomparirà alla fine del Medioevo a seguito di grosse importazioni dall’Etiopia: se ne ha traccia prima in Toscana e poi nel Veneto. Nel XVI secolo si estenderà in Sicilia, in Francia ed in Germania. A proposito dell’introduzione in Francia, lo si deve attribuire a Caterina de’ Medici, che andò sposa al re di Francia; essa ne era così ghiotta che una volta tanti ne mangiò, leggiamo in una cronaca del tempo, che “ella cuyda de créver” fu sul punto di schiattare (d’indigestione).
Nel XVI secolo, Bartolomeo Scappi nella sua “Opera dell’arte del cucinare”, dà le seguenti istruzioni: “Cuocere i pedoni di carciofani, havendoli prima perlessati e netti del piumino e pigliandoli nella loro stagione la quale comincia a Roma a mezzo febraro e dura per tutto giugno; et volendo empire e da poi sottestare i detti pedoni di carciofani, da poi che saranno perlessati si empiranno d’una composizione (un battuto di carne magra di vitello e prosciutto mescolato con formaggio, uova, spezie, aglio,erbette) et si cuoceranno (in tortiera con lardo liquefatto e brodo). Li detti pedoni anco…si potranno scaldare sulla graticola e alle volte i carciofani si cuociono interi in brodo e si parteno per mezzo, si soffriggono e si pongono sulla graticola bagnandoli di strutto liquefatto e si servono con strutto e aceto rosato sopra”.
Il medico Baldassarre Pisanelli, autore del noto “Trattato della natura de’ cibi et del bere, riguardo ai “giovamenti”, egli afferma: “Sono grati al gusto…provocano l’orina, moveno la ventosità e aprono le ostruzioni e accrescono il coito”. Afrodisiaco a quei tempi?
Tra le tante qualità che esistono in Italia, il “Carciofo Romanesco” li batte tutti per bontà. E’ la cosiddetta “mammola”, senza spine, che cresce al centro della pianta (si chiama anche “cimarolo”), mentre quelli che crescono sui lati si chiamano “nipoti”, più piccoli e meno pregiati.
Bibliografia:
- Francesco Fiume, Il Carciofo: http://www.francescofiume.altervista.org/Carciofo.html
- Bruno Pistoni, Il Carciofo: https://studylibit.com/doc/813758/carciofo---bruno-pistoni