Guerra... Pace

Disarmiamo le parole, le menti, per disarmare la Terra.

Il ciclo continua con il suo corso storico così altalenante e così imprevedibile. Le due parole, guerra e pace, si ripetono in tutti i contesti senza soluzione di continuità. L’una è sempre legata all’altra. Tuttavia, la parola guerra da sempre ha un peso specifico maggiore.
È inquietante osservare come termini quali guerra e riarmo, siano in grado di giustificare investimenti e aumenti del debito pubblico, superando quelle resistenze che, al contrario, vengono subito poste quando si tratta di finanziare settori cruciali come la sanità, l'istruzione o il welfare.

Papa Francesco, ha scritto durante il suo ricovero in ospedale, che “Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra.
Ritengo che sia un messaggio di un’importanza fondamentale. Sarebbe bello se, partendo dai potenti del mondo, passando per nostri politici, fino ad arrivare a ciascuno di noi, umili mortali, si partisse proprio dall'idea di disarmare le parole e le menti, per realizzare concretamente una pace autentica, o almeno per intraprendere un percorso concreto verso la tolleranza, l’accettazione della diversità e la convivenza pacifica.

Noi, donne e uomini di buona volontà, affrontiamo il nostro tempo con un perenne senso di disagio: il disagio di non riuscire a contare davvero, di non avere i mezzi necessari per far sentire la nostra voce, di essere quasi inermi di fronte agli eventi che ci circondano. Così, tutto accade – o, peggio, ci lasciamo accadere addosso – in una sorta di consapevolezza passiva, come se inconsciamente volessimo infliggerci del male; un'accettazione quasi masochistica del movimento inevitabile della storia.
La mia generazione è cresciuta con l’ideale di voler e poter cambiare il mondo. Siamo praticamente cresciuti con l’attenzione verso i grandi sistemi, verso quello che è il mondo esterno, nella sua globalità. Tuttavia, con il tempo, ci siamo resi conto di quanto sia complesso influire davvero su questi meccanismi enormi e radicati. Le nostre ambizioni si sono spesso infrante contro le difficoltà della realtà, spingendoci a rivolgere l’attenzione a ciò che ci circonda più da vicino: le comunità in cui viviamo, le nostre famiglie, le nostre singole relazioni. Ed è forse proprio da qui che il vero cambiamento dovrebbe iniziare.

Torniamo al concetto di pace. Certo, quando si parla di pace si parla sempre di pace nel mondo, di pace tra gli Stati, tra i popoli. Come possiamo, però, parlare di pace globale se non riusciamo a mantenerla nella nostra vita quotidiana? Subiamo torti, litighiamo, affrontiamo tradimenti, o ci irritiamo addirittura per piccoli contrasti, o banalità, reagendo con una rabbia impulsiva o con atteggiamenti che alimentano il conflitto, spesso senza considerare le conseguenze delle nostre azioni.

Diceva Gandhi che "la nonviolenza, come la carità, deve cominciare a casa propria. Non si può essere nonviolenti in un’attività e violenti in un’altra." Ma diceva anche che "questo mondo è tenuto insieme da vincoli di amore. La storia non registra i quotidiani episodi d’amore e di dedizione. Registra solo quelli di conflitto e guerra. In realtà, comunque, gli atti d’amore e di generosità, a questo mondo, sono molto più frequenti dei conflitti e delle dispute... Se così non fosse, sarebbero sopravvissute soltanto le minoranze più feroci..."

Ecco, forse con questi miei pensieri cerco di convincermi che il valore della pace passa attraverso la nostra vita quotidiana, i nostri gesti, le nostre singole relazioni.
Belle parole, ma mi resta sempre un dubbio: avrò mai la volontà (e il coraggio) di invitare a cena il mio nemico?

Gaetano Taverna

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